Frattura (che c’era e non c’è più)

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A Frattura vado e torno ogni weekend per ritrovare le mie radici, a lei dedico le mie domeniche e la mia libertà. Da Frattura con un po’ di fantasia puoi vedere l’azzurro del lago, nascosto dietro alberi e nuvole più dense.

Quasi un secolo d’abbandono non è bastato a dimenticarla, tutt’altro, ne ha accresciuto fascino e suggestività, nonostante nessuno abbia pensato, fin qui, che valesse la pena ricostruire.

Tranne me, che sotto queste pietre c’ho riposto il cuore e che dentro questo cielo voglio morirci perché da qui il paradiso è più vicino, tanto che, se allunghi una mano, puoi toccarlo.

E anche adesso che sta diventando colonia svedese, che quelli si che ce l’hanno i soldi per comprarsela Frattura, io il mio posto non lo lascio. E voglio raccontarvi, turisti capitati per caso, di quando Frattura era un paese vivo, ed anche di quando all’improvviso non lo è stato più, perché la terra un giorno si è messa a tremargli sotto e l’ha ribaltata e trascinata giù, nel lago, come un mulo trascina la soma.

Ma guardate bene, guardatela Frattura, è ancora tutta qui: è nelle pietre che tenaci si sono aggrappate al suolo e non hanno voluto cedere, è nella fontana da cui vi invito a bere, che acqua pura come questa non la berrete più e che è rimasta intatta, emblema dello scorrere, della rinascita. È nelle piante che non si arrendono alla morte e allungano e intrecciano le loro braccia esili e frondose a colmare i vuoti, a riportare la vita.

Guardate dentro i miei occhi Frattura che respira. Ascoltate, attraverso le mie parole, il vociare delle donne che lavano i panni alla fontana mentre aspettano i loro uomini partiti in guerra, e che dal fronte, forse, non torneranno più. Sono tornati invece quei mariti ma, paradossi della vita, se n’era andata ormai Frattura tutta, inghiottita in un grande sbadiglio della terra, insieme alla metà dei suoi abitanti.

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