Strada Gino, Pappagalli Verdi

Book Cover: Strada Gino, Pappagalli Verdi

I pappagalli verdi sono mine giocattolo.
Progettate per espandersi, dopo essere state lanciate dagli aerei, su un territorio più vasto possibile e poi esplodere tra le mani dei bambini che le raccolgono per giocarci, dilaniando loro mani, gambe, occhi.

Ci sono poche parole da spendere su questo libro. Ma va letto. Perché la guerra, quando se ne parla sembra spesso più un film che la realtà di tanta povera gente che non la vorrebbe eppure la subisce pesatemente, e che ne porterà per sempre addosso indelebili e vistosi segni.

In questo diario si riesce a mio avviso ad entrare maggiormente dentro, guidati dal racconto di Strada, chirurgo di guerra che è, a suo dire, il lavoro più bello, un "gioco" dove a vincere, quando si vince, sono in tanti e il premio in palio è il più prezioso che ci sia: la salvezza di vite umane.

Ma è anche il racconto di un uomo, di un padre, che si pone domande, che cerca di capire le ragioni profonde delle sue scelte di vita e di combattere i sensi di colpa quando qualcosa o qualcuno resta necessariamente indietro.

Parola dopo parola il cuore si stringe e si spezza. Esplode, come una mina, in petto.

E continuando sale rabbia, tanta rabbia verso chi la guerra la vuole, verso chi sulla guerra ci specula e ci guadagna. E viene quasi da maledirsi per il fatto che l'Italia stessa sia uno dei principali produttori ed esportatori di mine anti-uomo e che gli italiani siano visti in quelle terre dimenticate da Dio come coloro che "almeno" hanno costruito delle strade. "Almeno", perché oltre a quelle strade hanno bombardato spesso a tappeto, puntando a fare più morti possibili. Come in un brutto videogame.

Non si impara mai a convivere con la morte e la sofferenza e questo Gino Strada lo sa. Noi invece no, siamo così tanto assuefatti alle immagini di guerre e disastri trasmesse in tv e stampate sui giornali, da riuscire quasi sempre a voltarci dall'altra parte continuando a mangiare i nostri pasti caldi.

Dalla Prefazione di Moni Ovadia: "Le mine antiuomo, paradigma di viltà [...] fiori metallici dell'infinita infamia umana, lacerano, accecano, sbrindellano, cancellano parti di vita, creano voragini di antimateria, progettano il non-uomo."

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